mercoledì 9 giugno 2010

La forma dell'acqua

Prendo spunto dal titolo di un bellissimo libro di Andrea Camilleri per parlare di una metafora comportamentale di cui sono sempre stato tanto sostenitore quanto pessimo "applicatore". Nelle mie migliori intenzioni vorrei cioè essere un liquido che, di volta in volta assume la forma del recipiente in cui viene versato. Vi si adatta perfettamente. Così mi piacerebbe riuscire a gestire i rapporti umani, data la straordinaria diversità delle tipologie di soggetti con cui veniamo a confrontarci nella vita. Sarebbe vigliacco e comodo stare sempre rannicchiati nel nostro angolo pretendendo che tutti coloro che ci circondano si adattassero a noi. O meglio, non sarebbe sbagliato che i nostri interlocutori lo facessero, ma allo stesso tempo è anche nostro dovere fare si che l'incastro sia perfetto. Ecco dunque che se il recipiente e l'acqua formano un unico insieme, così dovrebbe avvenire anche tra esseri umani. Dove sta dunque il più grande ostacolo affinchè ciò avvenga? Probabilmente nel fatto che ognuno, al giorno d'oggi, non riesce ad andare oltre la propria sostanza, non riesce a capire che contenitore e contenuto sono la stessa cosa. Talvolta si è contenitori, talatra contenuti. Prendere la forma di qualcuno non significa dunque necessariamente assoggettarsi, bensì completarsi a vicenda. All'inizio del post ho esordito dicendo che si tratta di un "modus agendi" che purtroppo non mi è consono. Predico bene e razzolo male, non è una novità.

1 commenti:

Angela ha detto...

Penso anche io che prendere la forma di qualcuno non significhi necessariamente assoggettarsi.
E' più un discorso di flessibilità, di capacità di guardare l'altro invece di aspettarsi che sia solo l'altro a farlo.
Non si tratta di un mero esercizio di camaleontismo, quanto piuttosto un atteggiamento di apertura e scoperta.

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